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10. La sesta sala. Strumenti musicali etnici europei

La collezione di strumenti musicali etnici è presentata in tre ambienti secondo le aree geografiche di provenienza: l’Europa, il bacino del Mediterraneo, i paesi extraeuropei.
Questa sala, dedicata agli strumenti europei, evoca il contesto della musica popolare, prevalentemente affidata a una tradizione non scritta e legata alla spontaneità delle feste paesane e dei ritrovi cittadini. Siamo di fronte alla vitalità di una musica che si consuma al di fuori dei teatri e delle sale da concerto, per manifestarsi in ambiti popolari, come documentano i dipinti ottocenteschi alle pareti.
Il percorso inizia con la sezione dedicata alla chitarra, strumento al confine tra musica “colta” e musica popolare, per proseguire con le prime vetrine dedicate alla collezione Roberto Starec, esposta interamente lungo il corridoio.
Notevole è la raccolta di cetre da tavolo (zither), per lo più di area danubiana. Cetra, pianoforte, violino e mandolino sono gli strumenti più presenti nel Museo: molto suonati nelle case triestine, prevalgono infatti fra i doni dei privati.

La cetra da tavolo (Zither)

La storia della cetra si perde tra i miti dell’antichità classica e le storie bibliche. Dal punto di vista della classificazione degli strumenti, viene definito cetra tutto ciò che non è né arpa, in cui le corde sono posizionate perpendicolarmente rispetto al risuonatore, né liuto o lira, in cui le corde, che corrono parallele alla cassa armonica, se ne allontanano attraverso un manico per essere tastate, pizzicate, strofinate. Le cetre esposte rappresentano alcuni modelli europei, diffusi nei Paesi del Nord e nella zona dell’arco alpino tra Austria, Svizzera, Boemia, Baviera. Alcune hanno conservato la forma trapezoidale del salterio medievale, da cui derivano, altre ne hanno ammorbidito un lato.

La chitarra

La sezione dedicata alla chitarra dimostra l’attenzione di cui questo strumento è stato oggetto nel corso dei secoli tanto in ambito popolare quanto in ambito colto. La produzione locale è testimoniata dallo strumento di Fernando del Perugia, attivo a Trieste fino al 1872 quale costruttore, oltre che di pregevoli chitarre, anche di mandolini. I suoi strumenti sarebbero stati venduti a Trieste e a Vienna in esclusiva da Carlo Schmidl. La cultura mandolinistica favorì in città la nascita di circoli e intere orchestre di mandolini. Ad epoca più recente risale la chitarra uscita dal laboratorio Maselli, attivo in via Cadorna fino all’inizio degli anni ’60. Curioso è il modello di chitarra-lira, strumento in voga nei salotti di epoca neoclassica, ispirato all’antica lira greca, con l’aggiunta di un manico di chitarra.

La balalaika

Strumento tipico del folklore russo, la balalaika viene utilizzata tanto in esecuzioni solistiche, quanto in complessi strumentali. Spesso accompagna le voci dei cori, ma la si trova anche in piccoli ensemble o in grandi orchestre.

Storicamente deriva dalla domra, un liuto a manico lungo tipico delle regioni dell’Asia Centrale (la Mongolia e soprattutto il Kazakistan), con forma a pera e due sole corde. Il suo attuale aspetto a forma triangolare, con fondo poco panciuto a doghe, è diffuso nella Russia intera. Ha tre corde, che vengono pizzicate con le dite nude o con un plettro. Esiste in diverse dimensioni per coprire vari registri. La più diffusa è la cosiddetta “prima”, esposta nel museo, ma ne esistono una misura più piccola e quattro più grandi.

Le launeddas

Oltre ad essere il tipico strumento della tradizione sarda, che da sempre accompagna feste popolari, riti religiosi, danze, è uno dei più antichi strumenti polifonici del bacino del Mediterraneo. Deriva dagli aerofoni policalami, cioè a più canne, delle antiche civiltà dell’Egitto e della Mesopotamia.

Si tratta di un aerofono ad ancia semplice, ricavata dal taglio della canna stessa. Il suonatore tiene fra le labbra le tre canne contemporaneamente. La canna lunga, il tumbu, non presenta fori e produce un unico suono, fungendo da bordone grave. La canna mediana, la mancosa, tenuta con la mano sinistra, ha cinque fori ed è utilizzata per l’accompagnamento ritmico e armonico. La mano destra regge la canna più corta, la mancosedda, con la quale viene prodotta la melodia.

La zampogna

Strumento popolare diffuso in vaste aree del mondo, esiste in molte varietà. L’aria viene insufflata in una sacca in pelle che, una volta riempita, viene compressa dal suonatore provocando un suono continuo col passaggio attraverso delle canne. Alcune di queste canne hanno dei fori per la melodia, altre non sono forate ed emettono un suono unico che funge da supporto armonico.

La zampogna è uno strumento diffuso in varie zone dell’Italia meridionale. Le canne, fuoriuscenti tutte da uno stesso foro, sono tenute contemporaneamente tra le mani del musico. È uno strumento polifonico, in quanto le canne forate sono più d’una.

La cornamusa

Con il termine cornamusa si fa riferimento a uno strumento dotato di un’unica canna per il canto, mentre le altre producono ciascuna un unico suono. È perciò, a differenza della zampogna, uno strumento monodico. Una nota cornamusa è quella scozzese, chiamata bagpipe. Le canne escono dal sacco ognuna da un foro diverso e solo il chanter viene tenuto in mano dall’esecutore, mentre le altre canne vengono appoggiate a una spalla e tenute legate fra loro per mezzo di un nastro.

La fisarmonica

Negli ultimi tre decenni dell’800 la fisarmonica era uno strumento molto in voga a Trieste, come nel resto d’Italia. In città esistevano formazioni musicali con 25-30 strumenti di questo tipo. Il triestino Angelo Ploner realizzò nel 1862 il prototipo della cosiddetta “Triestina” che ebbe molto successo anche all’estero.

Palazzo Gopcevich

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