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8. La quarta sala. Grandi artisti tra Otto e Novecento

Il salone centrale è dedicato ai protagonisti dell’opera e della musica italiana dell’800 e del ’900 e ai loro rapporti con Trieste, oltre che ai compositori triestini e ad alcune figure leggendarie di direttori d’orchestra.

Vi è presentata parte della collezione di costumi personali del mezzosoprano triestino Fedora Barbieri: indossati sui palcoscenici di tutto il mondo negli anni centrali della sua straordinaria carriera, furono da lei stessa donati al Museo.

I tre pregevoli strumenti a tastiera, costruiti a Trieste, riecheggiano la pratica tipicamente ottocentesca della Hausmusik, il fare musica in casa, che vedeva il pianoforte come elemento essenziale del salotto borghese. In questa tradizione rientra anche l’elegante arpa Érard, appartenuta alla famiglia triestina dei baroni Sartorio.

Il piano melodico di Giovanni Racca, realizzato a Bologna all’inizio del ’900, è invece il primo esempio, nel percorso espositivo, della raccolta di strumenti meccanici esposta al secondo piano.

Giuseppe Verdi

Roncole di Busseto, Parma 1813 – Milano 1901

L’entusiasmo e la stima che Verdi suscitò a Trieste fin dalle sue prime apparizioni, gli omaggi che gli vennero tributati, qui come altrove, non furono solo ammirazione per il musicista, ma per le speranze che egli seppe incarnare in quanto interprete degli ideali del Risorgimento. Il Museo Teatrale conserva numerosissimi cimeli della presenza di Verdi a Trieste. Tra questi, una ninna nanna autografa dedicata al piccolo Gabriele, nato il 28 maggio 1850 e figlio del tenore Giovanni Severi, composta da Verdi su parole di Piave al termine del loro soggiorno triestino in occasione dell’allestimento di Stiffelio, durante il quale Verdi venne ospitato a Villa Severi. Numerosi manoscritti e cimeli ricordano anche la “prima” di Aida al Teatro Comunale di Trieste nel 1873. Per l’occasione, venne aumentato il numero di coristi e orchestrali, lo spazio per l’orchestra fu ampliato, il palcosenico prolungato all’esterno verso il mare per ospitare il corteo trionfale. E sul podio comparve Franco Faccio.

Franco Faccio

Verona 1840 – Monza 1891

Proveniente da una famiglia veronese di estrazione popolare, Faccio divenne uno dei protagonisti della vita musicale e dell’ambiente della scapigliatura milanese sul finire del XIX secolo anche per la sua influenza come compositore e insegnante. A Trieste fu il primo direttore d’orchestra in senso moderno a salire sul podio del Teatro Comunale. Fino ad allora la preparazione dell’orchestra e la direzione durante le esecuzioni venivano affidate a due figure distinte: il maestro concertatore al cembalo e il primo violino, entrambi componenti dell’orchestra stessa. La casa Ricordi e Giuseppe Verdi imposero da Milano la presenza di Faccio per la prima rappresentazione di Aida. Era il 4 ottobre 1873 e l’episodio segnava, anche a Trieste, l’inizio dell’epoca in cui al direttore veniva affidata la totale responsabilità dell’esecuzione.

Antonio Smareglia

Pola 1854 – Grado, Gorizia 1929

Seguì una vocazione musicale giunta tardiva. Studiò a Milano con Franco Faccio nel periodo in cui si diffondeva in Italia la musica di Wagner accendendo gli animi della “scapigliatura”. Nell’ambiente milanese conobbe Silvio Benco, che fu il librettista di diverse sue opere. Dopo la Prima guerra mondiale insegnò composizione al Conservatorio Tartini. Le origini istriane segnarono la sua produzione musicale. Il suo lavoro più noto è l’opera Nozze istriane, nel cui colorito folklorico riecheggiano i canti istriani appresi dalla madre negli anni dell’infanzia.

Fedora Barbieri

Trieste 1920 – Firenze 2003

Mezzosoprano

Studiò canto prima a Trieste e poi presso il Teatro Comunale di Firenze, dove debuttò non ancora ventenne, ottenendo un immediato successo di pubblico e di critica grazie alla sua capacità di esprimersi con uguale disinvoltura e intensità sia in ruoli drammatici che giocosi. Si impose nei teatri più importanti italiani ed esteri e, sotto la guida di leggendari direttori quali Toscanini, de Sabata, von Karajan, interpretò più di settanta ruoli. Come ricordava la stessa Barbieri: «Una volta i primi artisti avevano i loro abiti di scena personali completi di scarpe, parrucche, gioielli, l’abbigliamento completo. Ora non è così perché i costumi devono adattarsi alle scene e quindi viene fatto tutto dal teatro o nei teatri stessi dove scenografo e costumista lavorano assieme. Io possiedo un bel patrimonio di costumi, più di 20… dovrei contarli».

Debuttò nel ruolo di Amneris al Teatro Verdi di Firenze il 7 febbraio 1945, interpretando la figlia del re d’Egitto con straordinaria efficacia scenica e vocale e rendendone tutte le sfaccettature psicologiche. Sostenne questo ruolo, uno dei suoi cavalli di battaglia, in più di cinquanta edizioni sui palcoscenici del mondo intero, fino all’estate del 1966 a Roma, alle Terme di Caracalla. I due costumi per Amneris conservati nel Museo risalgono agli anni ’50 del ’900 e sono stati donati insieme ai bozzetti originali di Mario Giorsi.

Lucia Valentini Terrani

Padova 1946 – Seattle, Stati Uniti 1998

Dopo il debutto al Teatro Grande di Brescia nel 1969, vinse nel 1972 il premio “Voci rossiniane” della RAI. Esordì alla Scala l’anno dopo in La Cenerentola di Rossini nella celebre edizione Abbado-Ponnelle e si impose in seguito come una tra le più grandi interpreti rossiniane. L’abito in seta qui esposto, realizzato dalla Sartoria Shilla di Roma, era fra quelli che la mezzosoprano indossava nei suoi concerti, che tenne numerosi in tutto il mondo.

Victor de Sabata

Trieste 1892 – Santa Margherita Ligure 1967

Nel 1918 incominciò la sua straordinaria carriera di direttore d’orchestra, che lo vide presente sul podio dei maggiori teatri, orchestre e festival mondiali. Sovrintendente artistico alla Scala dal 1953 al 1957, ha lasciato la sua straordinaria impronta interpretativa in un repertorio vastissimo. Nel dicembre 1999 la figlia Eliana ha donato al Museo Teatrale alcuni cimeli relativi alla sua carriera, facendo così tornare nella sua città natale alcune preziose testimonianze di un capitolo fondamentale non solo della storia musicale e culturale di Trieste, ma della storia dell’interpretazione del Novecento.

Il Quartetto Triestino

Il Quartetto Triestino nella sua formazione definitiva con Augusto Jancovich e Giuseppe Viezzoli al violino, Dino Baraldi al violoncello e Manlio Dudovich alla viola, ritratto con Ottorino Respighi nel 1926 nella sede del Circolo Artistico Triestino in via Coroneo

Trio di Trieste

Costituitosi nel 1933, quando i suoi componenti avevano appena dodici anni, rimase formazione stabile per 60 anni con la sola sostituzione del violoncellista, avvenuta nel 1961, quando a Libero Lana successe Amedeo Baldovino.

La Società dei Concerti

Nel 1932 alcuni illustri personaggi triestini decisero di costituire una Società con lo scopo di offrire ai concittadini stagioni concertistiche di alto livello. Da questo comune intento, dal condiviso e profondo amore per la musica, nacque la Società dei Concerti. Il primissimo evento venne affidato al grande pianista Carlo Zecchi e, tranne che per una breve sospensione durante gli anni del secondo conflitto mondiale, i concerti continuano ininterrotti, portando in palcoscenico nomi leggendari del concertismo mondiale.

Ferruccio Busoni

Empoli 1866 – Berlino 1924

Pianista e compositore, iniziò a Trieste gli studi musicali con la madre, Anna Weiss, all’età di tre anni. Perfettamente bilingue, dal 1876 continuò gli studi a Graz, città universitaria meta di moltissimi triestini. Nel 1882 si spostò a Bologna per lo studio della composizione. La sua formazione fu improntata così sia alla cultura musicale tedesca che a quella italiana. A Trieste ritornò più volte, e l’ultima apparizione in pubblico fu al Rossetti nel 1906, dirigendo, tra le altre, la propria Turandot-suite. Nel 1907 Schmidl pubblicò la prima edizione del saggio scritto da Busoni sulla propria estetica, Entwurf einer neuen Aesthetik der Tonkunst (Abbozzo di una nuova estetica della musica).

Eugenio Visnoviz

Trieste 1906-1931

Pianista e compositore precoce nella Trieste mitteleuropea di Italo Svevo. Testimone fra i più significativi della “Trieste città musicalissima”, crocevia culturale tra il mondo della Romantik tedesca, il melos italiano e il pathos slavo, Visnoviz sostenne una vorticosa carriera tra il 1919 e il 1931, con concerti e tournée anche in Egitto e Stati Uniti. Scrisse molta musica che, se non fosse stata gelosamente conservata dal fratello, sarebbe andata irrimediabilmente perduta. Morì suicida a soli venticinque anni. Potrebbe a buon diritto rientrare tra i protagonisti della grande stagione formatasi attorno alle figure di Mahler, Strauss e Busoni, senza dimenticare i grandi nomi delle scuole nazionali dell’est europeo.

Il fortepiano Heichele

L’epoca di maggior splendore del fortepiano è stata quella nella quale nacquero le composizioni di Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert. L’elegante fortepiano in stile imperiale, con decorazioni di classico rigore, ne è un perfetto esempio. Dei quattro esemplari costruiti nella fabbrica di Giovanni Heichele tuttora esistenti, è l’unico a trovarsi oggi in Italia. Il modello era fornito di numerosi pedali, che producevano degli effetti speciali. Di particolare interesse è quello che porge un tributo alla moda delle turcherie imperante all’epoca: un marchingegno collegato ad alcuni strumentini che producono la sonorità tipica della banda turca, con campanelli, piatti e grancassa.

Il pianoforte Magrini

L’impegnativo impianto scenico della decorazione in stile liberty di questo singolare pianoforte lascia supporre che lo strumento sia stato realizzato per l’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino del 1902 i cui padiglioni, progettati da Raimondo D’Aronco, furono fra i primi esempi di architettura liberty in Italia.

Il piano melodico Racca

Gli strumenti brevettati dal bolognese Giovanni Racca erano concepiti per essere suonati con facilità. Il trascinamento della musica, impressa su un cartone perforato, avveniva con una manovella che consentiva di variare la velocità dell’esecuzione. L’aggiunta di una leva d’espressione permetteva anche di agire sul piano e sul forte. La preziosità dei materiali, la cura delle rifiniture e il vastissimo repertorio di musiche che Racca pubblicava gli fecero incontrare il favore del pubblico più facoltoso.

L’arpa Érard

Lo strumento ottocentesco dalle decorazioni neogotiche appartenne alla famiglia dei baroni Sartorio. Si tratta di un’arpa con pedali a doppio movimento, modello brevettato nel 1811 proprio da Sébastien Érard. I sette pedali, corrispondenti alle sette note, consentono di modificare la tensione delle corde e di conseguenza l’altezza dei suoni. L’ottavo pedale presente in questo modello, piuttosto inusuale, viene utilizzato per aprire e chiudere la serie di sportelli visibili sulla cassa armonica, aumentando o diminuendo il volume del suono.

Palazzo Gopcevich

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